“La prima impressione che hanno della Colombia i viaggiatori è quella di un popolo dolce, ospitale e felice, tanto accogliente che a volte è difficile crederci, e costa poi accettare la verità di quella trama di tragedie e sfortune accumulate che solo chi le conosce può discrivere. Il paese mostra sempre una superficie ingannevole, non necessariamente per ipocrisia ma per una testarda necessità di convincere se stesso che le cose non vanno male.” Si può partire da queste parole per raccontare cosa è oggi la Colombia. Le ha scritte un poeta e saggista colombiano, William Ospina, nel suo ultimo libro intitolato ‘Pa que se acabe la vaina’ (una traduzione non letterale sarebbe: Perché si finisca con questa storia). È uno straordinario saggio che racconta, in maniera soggettiva e mescolando abilmente storia, cambiamenti sociali e letteratura, gli ultimi duecento anni di vita in Colombia, gli anni dall’indipendenza dal dominio spagnolo, all’inizio dell’Ottocento, sino ad oggi. Se si vuole capire cosa è oggi la Colombia occorre capire cosa è successo prima, anche molto tempo prima. Occorre capire che la Colombia di oggi è la conseguenza di una spartizione del territorio, successiva all’indipendenza, tra una mezza dozzina di famiglie, e che quelle famiglie hanno deciso, assieme alla Chiesa che è sempre stata loro alleata, il destino di una nazione e di un popolo. Occorre capire che si sono spartite per due secoli il potere (indipendentemente se al governo ci fossero conservatori o liberali, protagonisti di un duopolio spesso finto) senza compartirlo con nessuno e soprattutto lasciando fuori da ogni gioco la parte più importante del paese: el pueblo, il popolo. Quel popolo che non ha mai contato nulla, che è stato ed è ancora vittima di innumerevoli ingiustizie.
La violenza, la guerriglia, il narcotraffico – i grandi mali per i quali questo Paese viene riconosciuto in tutto il mondo – sono tutte effetti, non cause, di una situazione dalla quale la Colombia pare non trovare ancora la forza di uscirne.
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Ed è invece il popolo, quello che ho incontrato anche questa volta ogni giorno nella metropolitana di Medellin, quello che ho visto nelle piazze dei paesi o lungo le tortuose strade che uniscono la grande città alle zone di montagna, che ti racconta ancora della gioia e della speranza che comunque percepisci. Comunque, nonostante tutto quanto ha dovuto sopportare in questi ultimi duecento anni, e prima ancora.
Medellin, che ancora oggi in Europa si ricorda come la città di Pablo Escobar, è un compendio della Colombia. Ci trovi la povertà e la ricchezza, ci trovi la musica in ogni angolo, ci trovi, a chiedere elemosina agli incroci, i bambini ‘desplazados’, quelli che assieme alle proprie famiglie sono stati costretti a fuggire dalle campagne e dalle montagne a causa della guerriglia o della semplice povertà, e sono arrivati a popolare ancora di più una città che oggi conta ufficialmente 2 milioni e mezzo di abitanti ma in realtà ne ha molti di più, non censiti, uomini, donne, bambini e anziani che sono come invisibili, eppure ci sono. Vivono in capanne fatiscenti che stanno su per miracolo, costruite sopra mucchi di rifiuti, oppure per strada, alcuni addirittura nelle fogne, usando i tombini come porte della propria ‘casa’. Eppure ci sono, sono parte di una città che ti presenta anche un’altra faccia, quella della gente cosiddetta perbene, che ti accoglie in un edificio a venti piani facendoti passare attraverso una portineria custodita da due persone armate, e manca solo di dover passare attraverso il metal-detector. C’è la Medellin che ti sembra uno dei paesi della Benecia, ma come era una volta, e con molta più gente, e musica a tutto volume, e birra e rum e ‘aguardiante’, la grappa colombiana, ed il continuo parlare di tutto e di niente, ma sempre con un sorriso per sé e per la bella ragazza che passa accanto. E c’è la Medellin che ti sembra un solo unico grande condominio dove chi ci abita non parla mai con il vicino di appartamento, e forse non lo ha mai nemmeno incontrato .
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Medellin non è più la città di Pablo Escobar, e non solo perché ormai il centro della produzione mondiale di cocaina si trova in Messico e non più in Colombia. Medellin nel 2013 è stata eletta la città più innovativa del mondo, davanti a New York e Tel Aviv, grazie al suo moderno sistema di trasporto pubblico, alle sue politiche ambientali e alla sua rete di musei, scuole, biblioteche e centri culturali. Medellin è calore (il calore della gente e quello meteorologico, visto che per gli abitanti della città il pieno inverno è con pioggia e alla temperatura di 18 gradi), ed è anche, nonostante tutto, una straordinaria voglia di vivere e di progredire. Entrarci è come entrare in un frullatore che ti fa girare in continuazione e conoscere gli odori, i sapori, l’allegria e la tristezza che girano anch’essi assieme e attorno a te. Ne esci diverso, con la consapevolezza che è un altro mondo rispetto al tuo, per certe cose migliore e per certe peggiore, ma un mondo comunque necessario.